Storie – Nelle Scarpe della SLA “In Her ALS Shoes”
Mi chiamo Leah Stavenhagen
vivere con la SLA
New York
“Ho dovuto imparare a chiedere aiuto e, al contempo, accettarlo. Ho dovuto imparare come vivere alla giornata e concentrarmi sulle persone che mi circondano. Ho dovuto riconsiderare la mia definizione del successo e quello che voglio dalla vita.”
Nella primavera del 2018 iniziai a svegliarmi nel bel mezzo della notte con i crampi alle gambe. Ben presto iniziai a scherzarci su con i miei amici, considerando che avevo soltanto venticinque anni, dicendo loro che mi sentivo come mia nonna. Non davo troppo peso alla cosa, ma iniziai a prendere degli integratori di magnesio. E così trascorse l’estate. Ero una dei tanti che correvano per le vie di Parigi quando la Francia vinse la Coppa del Mondo. Terminai il mio tirocinio estivo e stavo preparando l’ultimo anno del Master.
Prima che arrivasse Natale, ero inciampata e caduta un paio di volte. Mi resi conto che sul marciapiede ero sorpassata da persone che normalmente non riuscivano a starmi dietro. C’era qualcosa che non andava e così mi recai dal medico di famiglia, spiegando che non riuscivo a capire la mia situazione. Nonostante fossi una ventiseienne attiva, non capivo perché i miei piedi non rispondessero come una volta. La dottoressa non riusciva a individuare il mio riflesso patellare e così mi consigliò di recarmi da un neurologo. Ingenuamente non capii perché venissi indirizzata da un neurologo invece di un podologo. Purtroppo questo cambiò velocemente. Venni informata che probabilmente soffrivo di SLA e avevo dai due ai cinque anni di vita.
Nei mesi successivi consultai diversi specialisti a Parigi, New York e Ann Arbor, trascorrendo ore al telefono per fissare i vari appuntamenti – alle volte in lacrime di pura disperazione. Avevo bisogno di risposte, ma non riuscivo a ottenerle. Lentamente smisi di andare in palestra. Praticare lo yoga in casa sembrava la scelta meno pericolosa.
Tutto stava cambiando, ma io non ero pronta ad accettare quella realtà. Nel corso dei prossimi cinque mesi feci viaggi verso New York, la Germania, Svizzera, Turchia, Croazia e nel Michigan settentrionale. Inoltre presi parte a un festival di musica, completai la mia tesi e ottenni il mio Master. Facevo il possibile per ignorare l’enorme nuvolone SLA che aleggiava su di me. Tra un viaggio all’estero e l’altro, mi sono ricoverata quattro volte per accelerare la vasta gamma di esami da eseguire e per farmi somministrare le infusioni di immunoglobulina. Non riuscivo a eludere la tempesta appieno.
Nel mese di settembre iniziai a lavorare come consulente di gestione. Tutti i miei timori per l’inizio di questa nuova carriera in un campo così esigente, oltre a lavorare in una lingua straniera, erano sovrastati dalla paura di perdere il controllo del mio corpo. Una volta terminato il corso di orientamento, venni immediatamente inserita in un progetto dall’altra parte di Parigi. Per il tragitto casa-lavoro impiegavo quarantacinque minuti in metropolitana dal mio appartamento, ma i giorni in cui riuscivo a salire le scale stavano velocemente per finire. Invece di chiedere una sistemazione ad-hoc, trascorrevo due ore su tre autobus diversi in andata e ritorno dal lavoro. Mi reputavo davvero fortunata quando il mio fidanzato mi accompagnava sul sedile posteriore della sua moto. Mentre le temperature si abbassavano e le mie gambe si indebolivano, venni costretta a mettere da parte il mio orgoglio e informare il direttore che fare la pendolare era troppo stancante per me. Dunque diventai una fedelissima del servizio Uber.
Nel mese di dicembre, dopo circa nove mesi dalla notizia che probabilmente avevo la SLA, ricevetti una diagnosi a conferma della prognosi. La diagnosi ufficiale era principalmente per facilitare l’iter burocratico; cominciavo a sentire che la mia autonomia stava scivolando via. Mentre il Covid-19 iniziava a costringerci in casa, la SLA mi costringeva ad accettare l’uso della sedia a rotelle. Lavoravo volentieri sulle proposte e discutevo dei progetti futuri con i miei colleghi da casa, ma in cuor mio sapevo che non avrei più lavorato al momento del loro compimento. Ho dovuto prendere un permesso per malattia all’inizio dell’estate.
La SLA è una valanga impetuosa, una che progressivamente ti toglie l’indipendenza e ti lancia lontano dal tuo ambiente sicuro. Ho dovuto imparare a chiedere aiuto e, al contempo, accettarlo. Ho dovuto imparare come vivere alla giornata e concentrarmi sulle persone che mi circondano. Ho dovuto riconsiderare la mia definizione del successo and quello che voglio dalla vita. Al momento vivo di nuovo negli Stati Uniti per sottopormi a delle cure innovative alla Columbia Medical Center ed essere più vicino alla mia famiglia. Ho sposato il ragazzo che mi è stato ferocemente fedele per oltre sei anni. Non mi sono mai sentita più amata, più fortunata e più fiduciosa.
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