Storie – Nelle Scarpe della SLA “In Her ALS Shoes”
Mi chiamo Melissa Diaz-Viera
vivere con la SLA
Chicago, Ilinois, USA
A volte proprio non te lo aspetti.
L’autunno del 2022 è stato un marasma. Durante un periodo già particolarmente stressante, io, mio marito e mia figlia abbiamo contratto il Covid-19. Qualche settimana più tardi, ho cominciato ad avvertire una strana debolezza nelle mani che, inizialmente, ho attribuito ad insonnia, carenze di vitamine dovuta all’allattamento al seno o anche agli strascichi del Covid-19. Sentivo una sensazione particolarmente insolita nelle mani dopo aver lavato i piatti, abbottonato i vestiti della bambina, oppure dopo essermi tagliata le unghie. Non provavo dolore, ma le mie mani erano più deboli del solito e mi sembrava che fossero come disconnesse da me. E poi, di notte, quando mi sdraiavo nel letto, sentivo strane contrazioni alle gambe. Mi convinsi che fossi semplicemente stanca a causa della mia vita frenetica di mamma. A dicembre, non sono stata capace di usare le bacchette per mangiare sushi. Le mie dita erano deboli e goffe. Mi sembrava tutto così strano che decisi di prenotare un appuntamento per un check-up medico a gennaio.
A differenza di tanti pazienti affetti dalla SLA, il mio percorso verso la diagnosi è stato molto veloce. A fine gennaio 2023, andai dal medico, il quale mi prescrisse degli esami ematici per verificare i livelli di vitamine, possibile malattie autoimmuni ed enzimi muscolari, e un test neurologico chiamato elettromiografia. Gli esami del sangue sono risultati nella norma. L’elettromiografia era prevista per la fine di febbraio. Mentre aspettavamo la data dell’esame, abbiamo festeggiato il primo compleanno di mia figlia. I risultati dell’elettromiografia erano anormali, rivelando denervazione in tre zone del corpo. Una ricerca su Google indicava che non molte condizioni producono un’elettromiografia anormale, ma speravo che Google stesse esagerando… come succede a volte. Google non aveva torto. Tre giorni dopo il risultato della mia elettromiografia, mi è stata diagnosticata la SLA con un’aspettativa di vita fra due e cinque anni. Ero sotto shock. Non riuscivo a piangere. Non riuscivo a credere che stesse succedendo proprio a me. Poi sono arrivate le visite con altri neurologi, risonanze magnetiche, test genetici, e molti altri esami per escludere altre diagnosi – ma la conclusione è stata sempre la stessa: SLA.
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Il primo mese post-diagnosi è stato un mese di panico. Dopo sette lunghi anni di trattamenti, eravamo finalmente riusciti ad avere nostra figlia, e proprio ora che ci eravamo riusciti, mi veniva detto che non l’avrei vista crescere. “Mi chiedevo se si sarebbe ricordata di me?” Era tutto così crudele. Mio marito, mia madre ed io ci dividevamo i turni per prenderci cura della bambina, mentre l’altro crollava e aveva attacchi di panico nell’altra stanza. Non potevo neanche prendere farmaci per la mia ansia, perché stavo ancora allattando… ho dovuto iniziare lo svezzamento per poterli assumere, creando ancora altro stress per tutti.
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Dopo quelle prime settimane, ci fu un vero cambiamento in me. Trascorrevo un’infinità di tempo ricercando quante più informazioni possibili sulla SLA. Un’esperienza terrificante, ma ho trovato anche racconti pieni di speranza. Ho deciso che dovevo assolutamente assistere alla crescita di mia figlia e che non avrei mai abbandonato i miei obiettivi. Ho vissuto in giro per il mondo, ho visto e fatto cose che la maggior parte delle persone non farà mai – e la mia vita non finisce qui. Ho altro da fare, altro da dire, altro da imparare e tanto amore ancora da dare. Quindi sì, ho la SLA. Ma la SLA non mi avrà mai. Lotterò finché non sarò in vita.
Sono ancora qui. E ogni giorno conta.
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