Riportiamo qui di seguito una breve sintesi dei lavori relativi al simposio SLA di Orlando dell’11 dicembre 2015. Ringraziamo un nostro carissimo amico per la preziosa collaborazione.
“Ecco le aree tematiche del Simposio USA:
1) Clinical management
2) Eterogeneità e progressione della SLA
3) Biomarcatori e misurazioni
4) Imaging ed elettrofisiologia
5) Cambiamento cognitivo
6) Gestione della respirazione e della nutrizione
7) Qualità della vita e cure palliative
8) Epidemiologia
9) Genetica
10) Biologia molecolare
11) Patogenesi e neurotossicità
12) Modelli sperimentali in vitro
13) Modelli sperimentali in vivo
14) Strategie terapeutiche
15) Work in progress clinici
16) Work in progress cientifici
Nel Clinical Management si è discusso della diagnosi, con lavori sulla tempestività diagnostica e sulla crescente esigenza di avere marcatori – anche clinici – che possano anticiparne l’accuratezza. Mancando un vero e proprio marcatore che possa indicare la progressione della malattia, si è ragionato sulla scala attualmente utilizzata che viene confermata essere un parametro attendibile, si chiama ALSFRS-R (ALS Functional Rating Scale – Revised) e conferisce ad ogni paziente un punteggio ricavato da diverse voci, in base alla propria condizione fisica e funzionale. Si è poi indagato sulla possibilità di comprendere meglio l’evoluzione della malattia e di fornire ai pazienti ausilii sempre più avanzati, con particolare riferimento a mobilità e comunicazione.
La sezione successiva suggerisce qualche spunto anche ai non-medici come il sottoscritto. Interessante uno studio che mette in relazione malattie antecedenti alla diagnosi di SLA. Grandi correlazioni – mi pare – non ce ne siano. Infatti, si sono riscontrate meno patologie antecedenti nel gruppo dei malati di SLA rispetto al gruppo dei soggetti di controllo (sani), nei ricercatori sorge persino il dubbio che certe malattie possano scatenare meccanismi collaterali che si rivelino protettivi nei confronti della degenerazione dei motoneuroni.
Una conferma arriva invece per quanto riguardano infiammazione e stress ossidativo, come problematiche che contribuiscono all’insorgenza di malattie degenerative, SLA e Parkinson nel caso specifico. Cattura l’attenzione anche un lavoro su farmaci utilizzati comunemente e possibile incidenza sulla progressione della malattia. A spuntarla è una sostanza di cui avevo sentito parlare già da un pezzo, questa pareva dare una mano in alcuni dei sintomi del distretto bulbare: il destrometorfano. La sentenza non è di quelle definitive, ma sembra anche in tale studio che il destrometorfano riesca a dare una (piccola?) mano, sebbene restino necessarie altre verifiche. Il principio attivo è normalmente impiegato come anti-tosse ed innalza i livelli di serotonina.
Uno studio cerca di identificare – senza successo – marker nel sangue che possano prevedere l’andamento e la durata della malattia; mentre un altro abstract riporta che l’enzima CK possa invece avere in qualche modo – non ancora del tutto chiaro – un ruolo nella prognosi (livelli inferiori sono auspicabili, rispetto a livelli superiori).
I lavori su imaging ed elettrofisiologia avevano l’obiettivo di testare gli strumenti a disposizione – come la risonanza magnetica – nella diagnosi della malattia e nel misurare la sua progressione data la difficoltà di avvalersi di strumentazione in grado di monitorarne l’andamento. Lo si è fatto osservando se in corrispondenza di un peggioramento del quadro clinico è possibile riscontrare variazioni nelle immagini di laboratorio. Inoltre, l’attenta osservazione delle immagini delle varie aree del cervello – anche quelle non comunemente interessate dalla patologia – permette di individuare eventuali malattie che possono “mimare” la SLA.
I pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica rimangono nel pieno delle proprie facoltà mentali ed intellettive, di norma. Talvolta, in una percentuale ridotta di casi, possono comparire problemi cognitivi legati a demenza frontotemporale e a degenerazione di alcune zone dell’encefalo, rilevabili anche attraverso gli strumenti diagnostici (Pet, Risonanza Magnetica).
Nel primo studio riportato nell’area della gestione delle complicanze polmonari si discute della valutazione della capacità respiratoria residua, spiegando che non sempre la mancanza di dispnea o ipoventilazione notturna possono escludere una qualche difficoltà già presente. Si sostiene poi che la respirazione – essendo un punto chiave nella progressione della malattia – vada monitorata già dalla prima diagnosi, poiché una capacità di respirare gestita in modo tempestivo è – ovviamente – correlata con la sopravvivenza del paziente. Si suggerisce che un anticipo sui tempi nella prescrizione della NIV potrebbe portare ad una prognosi migliore, andando a prevenire carenze ed insufficienze. Si è parlato anche del Diaphragm Pacing, una sorta di stimolatore del diaframma da impiantare chirurgicamente; gli studi presentati al simposio sembrerebbero spiegare che non è buono per tutti, ma consigliabile dopo un accurato testing del paziente e delle funzioni del suo diaframma. Lo strumento, se impiantato nel modo corretto e nel paziente adatto, potrebbe prolungarne la sopravvivenza. Su questo punto vi sono tuttora versioni discordanti.
Uno studio giapponese ci dice che con ventilazione (sia invasiva che non, a seconda delle esigenze), si vive mediamente più a lungo che senza: non una notizia sensazionale. Si parla poi di Macchina della Tosse Assistita, ipotizzandone un beneficio anche prima dell’introduzione della NIV, sia in pazienti con esordio spinale sia in quelli con la bulbare.
Nell’area su qualità di vita e cure palliative uno studio spiega che la fatica è comune nei pazienti SLA, a causa della compromissione delle unità motorie, e non c’è differenza statistica tra uomini e donne. Wow! Un altro, intitolato “L’arte perduta del baciarsi” ci mostra che nei pazienti SLA la sessualità e l’intimità a letto sono compromesse. Sensazionale! Studi successivi ricordano che è altresì importante supportare il caregiver. Ohibò! Non volevo banalizzare, ma almeno strapparvi un sorriso. Per questa categoria mi fermo qui, non perché non sia importante, ma perché ha catturato meno il mio interesse.
Ricca di spunti la sezione sull’epidemiologia, nella quale uno dei primi abstract presentati riporta che avere avuto un cancro non incide in nessun modo nell’eventuale insorgenza o non-insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica. Grande attenzione – in questa categoria – l’hanno ricevuta i cianobatteri, i quali svilupperebbero neurotossine dette BMAA. Queste tossine possono entrare nell’organismo con il contatto, l’inalazione o l’alimentazione (nei numerosi casi di SLA nell’Isola di Guam, i cianobatteri hanno i riflettori puntati addosso, assieme anche ad altro). Le BMAA infatti, una volta nell’organismo, potrebbero essere impiegate per errore dallo stesso al posto dell’aminoacido serina normalmente utilizzato; ciò darebbe luogo a misfolding delle proteine (un cattivo ripiegamento) che può portare o contribuire alla degenerazione dei motoneuroni. Gli studi sul tema sono parecchi, individuando anche dei cluster (gruppi con un denominatore comune, la SLA in questo caso) in aree con elevata presenza di cianobatteri e tossine BMAA, come certe zone lacustri. Da vedere l’approfondimento sui metalli pesanti, con particolare riferimento al piombo che viene riconfermato come forte indiziato nell’insorgenza della SLA, anche per accumuli di questo metallo avvenuti fino a 20 anni precedenti l’esordio. Pure altri metalli hanno attirato l’attenzione dei ricercatori che avrebbero individuato – cosa per altro già sospettata da tempo – l’intossicazione di metalli neurotossici come un fattore ambientale scatenante.
La genetica è un argomento che fa la parte del leone nelle ricerche sulla SLA. I ricercatori Italiani – che, va detto, hanno contribuito massicciamente al Simposio statunitense – si sono mostrati particolarmente attivi in questa branca. Dopo aver letto gli studi di genetica – nella quale riconosco tutti i miei limiti di non medico ma di semplice curioso – mi pare di aver capito che grandi cose, di quelle che vorremmo noi, ancora non ce ne sono. Certamente, è fuori dubbio, i passi avanti sono reali in termini di individuazione di mutazioni genetiche coinvolte nell’insorgenza a titolo esclusivo o meno (familiare o sporadica) della malattia. In Italia, è la mutazione del gene C9orf72 una delle più presenti e della quale si stanno via via svelando i meccanismi. Per quanto riguarda le sporadiche, in una percentuale di esse è stata riscontrato il difetto in un paniere di geni, i quali potrebbero essere silenti fino al punto in cui un fattore ambientale, ad esempio, dà il via al meccanismo che porta alla sclerosi dei motoneuroni.
In “Patogenesi e neurotossicità” il primo studio riguarda la tossicità del manganese, un altro metallo pesante in grado di colpire selettivamente – in vitro e in vivo – i motoneuroni. Ulteriore attenzione è rivolta alle neurotossiche BMAA dei cianobatteri, che rivestono un ruolo significativo in questo Simposio. Uno studio dimostra che iniettando BMAA nella spina dorsale, i motoneuroni muoiono prima di altre cellule. Interessante. Un altro lavoro rileva che assumendo per lunghi periodi BMAA nella dieta, i livelli nel cervello riscontrati a posteriori sono simili a quelle dei numerosi casi di SLA dell’isola di Guam. Pare anche di capire che queste BMAA contribuiscano a creare aggregati proteici neurotossici.
Per quanto riguarda il fronte terapeutico delle staminali, ricercatori tedeschi spiegano che le staminali mesenchimali si rivelano sicure ed in grado di generare un microambiente protettivo per i motoneuroni, oltre che di apportare fattori di crescita (neurotrofici) e citochine (“buone”). E’ poi ripreso il trial della vitamina B12 (sotto forma di metilcobalamina) ad alte dosi per rallentare la progressione della SLA. Anche un altro farmaco pare aver dato buone indicazioni nel rallentare la progressione e portare – ai casi più fortunati – anche un parziale recupero di qualche funzione persa: si tratta di una forma orale dell’acido biliare ursodesossicolico (approvata in Corea del Sud e Giappone), il quale grazie a tale formulazione sembrerebbe più efficace del già conosciuto TUDCA, noto per aver inciso in qualche modo nel rallentare la malattia in alcune sperimentazioni.
Uno studio ci parla del Coxsackie-virus, questo infetterebbe vari organi tra cui il cervello, dando origine ad aggregati proteici di TDP43, il che è davvero tanto curioso quanto serio. Nello stesso lavoro si insinua infatti che non è mai stata indagata questa infezione come una delle possibili malattie che imitano la SLA, suggerendo di inserirla quindi nella diagnosi differenziale.
Anche la curcuma – di cui si è tanto parlato in rete – è oggetto di studio (italiano) ed è stato presentato al Simposio USA il trial attualmente in corso con 1500mg di principio attivo somministrato giornalmente ai pazienti, con lo scopo di valutare poi eventuali modificazioni nello stress ossidativo e nell’eccitotossicità rilevata. Altri italiani hanno studiato invece il beneficio della cannabis terapeutica sul sintomo della spasticità.
Uno studio sulle patologie “che mimano” la SLA ci ricorda di non sottovalutare i problemi cervicali, con un case-report di un 73 enne con un qualcosa di assai simile ad una SLA bulbare, via via risolto con un intervento chirurgico dopo l’aver dimostrato che si trattasse di una patologia a carico delle vertebre cervicali.
Mi fermo qui, con la speranza di averti portato – in modo molto semplice e comprensibile – una idea (da non confondere con una relazione medica o scientifica) su parte di ciò di cui hanno discusso all’ultimo Simposio Internazionale sulla SLA.”